mercoledì 7 luglio 2010

Il "running" e l’arte della manutenzione dell’anima

Pubblico più che volentieri un racconto
del nostro Carlo Venturi che riesce a
farci "sentire" le sensazioni che ci dà
corsa.Bravo Carlo!!
Ti hanno ripetuto infinite volte che non si sente la mancanza di qualcosa se non nel momento in cui non la perdi. E ogni volta, tu hai guardato il tuo interlocutore, con una espressione di partecipato consenso, e nello stesso identico momento hai pensato: " ancora ‘sta frase!! ". Poi accade che, non sempre, ma qualche volta, i luoghi comuni si vendichino, divenendo in un attimo, dura realtà.
"Ho capito, ho capito, ma la risonanza magnetica non serve, posso dirti quello che è scritto nel referto prima di leggerlo, comunque si tratta di questo: l’usura della cartilagine del ginocchio crea un problema alla rotula, un sovraccarico. In parole povere la rotula “gratta” e l’articolazione si infiamma con conseguente versamento e dolore. "
Gratta?? Abbasso lentamente gli occhi verso il ginocchio destro e sento un brivido salire lungo la schiena mentre inizio a sudare freddo. Alzo gli occhi su Marco, li sposto verso il fisioterapista, torno a guardare il ginocchio e infine esalo con un filo di voce: "e quindi? " Lui, il fisioterapista con il camice bianco, i capelli metallizzati e l’aria da primario squalo, mi guarda con fare di sufficienza, e poi come si interloquisce con un bambino non troppo sveglio, rivolgendosi a Marco emette il vaticinio: "Non c’è molto da fare, possiamo provare con l’ipertermia e somministrare un farmaco per la cartilagine, l’unico che sembra avere un qualche effetto. Non aspettiamoci però grandi miglioramenti. "
Poi estrae le due pellicole della risonanza magnetica, le espone controluce, le studia con aria solenne scuotendo la testa; poi si volge verso Marco e : "che ti dicevo: proprio come avevo previsto! "
Io alzo lo guardo, fisso Marco, poi il fisioterapista metallizzato e penso: " guarda me, cazzo!! "È il mio ginocchio! Devi dirlo a me !" Mentre formulo la frase, mi assale improvvisamente la visione di un futuro prossimo di sedentarietà, tedio esistenziale, frustrazione: in poche parole un futuro da ex corridore dilettante.
Dopo un tempo che mi sembra eterno e una serie di convenevoli usciamo in strada; ringrazio Marco e mi avvio verso casa piuttosto mesto.
Non mi arrendo; voglio un altro parere. Dopo lunga ricerca decido per un luminare di Perugia, e del suo laboratorio biometrico spaziale che risponde al nome di “People let move”, qualsiasi cosa significhi. Quando arriviamo siamo ricevuti in una atmosfera ovattata, circondati da gigantografie di calciatori e atleti grati al luminare. Dopo una breve attesa sono condotto in uno studio da un collaboratore, che mi intervista, dopodichè non mi resta che attendere il grande guaritore. Il quale appare, circonfuso di scienza e eau de parfum, saluta i suoi molti discepoli presenti e iniziamo i preliminari.
Io, per prima cosa tento di mostrargli la risonanza magnetica, lui la rifiuta sprezzantemente spiegandomi che nel mio caso non è di nessuna utilità.
Mentre rifletto che ho gettato via 120 euro, visto che l’unico interessato all’ecografia sono io, vengo disteso sull’apposito lettino, misurato, pesato e naturalmente trovato inadeguato. La prognosi non è comunque troppo infausta e dopo un lungo tunnel di esercizi di stretching e potenziamento muscolare, coadiuvati da spessore di 5 mm sul tallone destro e banda elastica costrittiva al medesimo ginocchio, dovrei tornare a vedere la luce, anche se in modo molto graduale.
Torno a casa moderatamente ottimista e inizio così lunghi mesi senza corsa, per cui, costretto per la prima volta al riposo forzato, ne approfitto per riflettere sull’importanza che il correre ha assunto nella mia vita.
A questo proposito, se vi capiterà di affrontare l’argomento con uno dei tanti “runners” che incontrate; giovane o anziano che sia, veloce o lento, la risposta più probabile che riceverete sarà sempre la stessa: “corro perché mi fa stare bene”. Laddove per stare bene si intendono molte cose: ridurre lo stress, essere in forma, divertirsi, stare in compagnia. Nessuno di loro però vi svelerà ciò che si nasconde dietro quelle frasi sospettosamente vaghe e stereotipate. Quello che non vi diranno sono le sensazioni profonde suscitate dalla corsa, le relazioni complesse con il paesaggio, con il proprio corpo, con gli elementi naturali.
Personalmente, ho ripreso a correre nel 2001, dopo una pausa di trenta anni e circa centomila sigarette (10x30x365).
Scarpe, pantaloncini,maglietta, niente altro: ci provo.
È una mattina di maggio, sono in forestale, riesco a correre per circa trecento metri prima di appoggiarmi ad un abete con il respiro strozzato, cianotico in volto.
Poi è stato come ritrovare passo dopo passo sensazioni dimenticate: correre per trenta minuti, poi per quaranta, un’ora; sempre più sciolto. La prima gara, poi le altre, corse in allegria e senza l’assillo del risultato, quanto piuttosto per sentirsi parte di una comunità, di un gruppo. E infine il legame indissolubile con i luoghi.
Ogni corridore ha un suo luogo preferito, un percorso, un paesaggio; il mio è “la forestale”, le pinete che rivestono la dorsale dei Monti Cimini appena sotto il passo: messe a dimora e dimenticate da cinquanta anni, con i loro viali tagliafuoco dal fondo soffice, ideali per correre, passeggiare o solamente per sostare; fresche in estate e riparate dal vento in inverno.
Io corro in forestale: in estate come in inverno; con il sole, la pioggia, la neve. Questo è il racconto di una di quelle ore magiche.
FLOW
Primo mattino: esco di casa, salgo in macchina e affronto i tornanti in salita di Piangoli, la strada tra i boschi che attraversa il piede del monte Cimino. Circa otto chilometri di salita per arrivare all’incrocio con la provinciale per Canepina, poco sotto il Passo Montagna.
Parcheggio e inizio gli esercizi di allungamento; è una giornata fredda e soleggiata, spira una leggera brezza di tramontana che rende il cielo limpido come ormai accade di rado.
Sembra una buona occasione per un giro lungo, fuori dal consueto; quindi dopo circa trecento metri mi dirigo verso la Cassia Cimina e la attraverso entrando negli oltre trecentocinquanta ettari di conifere che si estendono tra il sesto chilometro e il passo. Da qui si raggiunge il crinale del cratere di Vico. È il “giro dei radar”, un anello impegnativo e panoramico tra abeti e douglasie.
La strada battuta entra nel bosco, il passaggio dalla luce alla penombra è brusco, si ha la sensazione di essere inghiottiti in un altro mondo, poi arrivano in rapida successione tre brevi gobbe, sono i “denti”, bruschi e ripidi mordono i polpacci e inghiottono il respiro. Ora il viale si fa pianeggiante, le gambe possono correre tra le chiazze di luce; è una corsa armoniosa, facile, che prelude la salita. Il freddo scompare, nel silenzio sento appena i passi sul fondo soffice. Attraverso il bosco sotto la corona degli alberi e dopo due radure e un fontanile, sul limite del bosco, inizia la salita che porta verso il punto più alto del percorso, l’ampio bordo del cratere del lago di Vico.
Sono quasi 20 minuti di pendenze crescenti che induriscono le gambe e tagliano il respiro.
Nessuna presenza umana, nessun suono se non il fruscio del vento tra le chiome degli abeti. Giungo infine in cima e piego verso destra, entro in uno stradello pianeggiante mentre l’affanno si placa e le gambe si sciolgono. Sul crinale aperto verso ovest riesco a tenere un’andatura sciolta e abbastanza veloce; mentre inspiro profondamente mi sento incredibilmente leggero, come spinto da una mano invisibile. Sono sereno, quasi uno stato di grazia che placa ogni ansia. Il dolore dei ricordi sembra non mordere più l’anima e finalmente posso accogliere quietamente il dolore e la nostalgia.
Alzo gli occhi verso sinistra e vedo, in lontananza la lama incredibilmente luminosa del mare e in sequenza verso est la pianura e Viterbo, fino a Montefiascone: vedo persino uno spicchio blu intenso del lago di Bolsena, più lontano il cono isolato del Monte Amiata, le pendici verde intenso dei Cimini e della Palanzana. I boschi lontani sono invece azzurri: “la lontananza partecipa de lo azzurro” diceva Leonardo.
Ora vado veloce, scelgo facilmente, istintivamente, dove posare i piedi mentre l’aria fredda diventa un soffio sul volto; è come essere sostenuti da un flusso d’aria che ti spinge gentilmente ma decisamente, che ti sostiene in una specie di corsa planata, straordinariamente facile e leggera. Respiro a fondo e seguo i saliscendi del sentiero stretto e tortuoso. Un’ultima svolta e mi viene incontro l’orlo della grande pineta. Il viale di abeti è una grande volta naturale che nasconde la luce, custode in ogni stagione della penombra. L’aria profuma fortissimamente di resina e arriva forte l’odore del sottobosco. Corro sopra un tappeto sottile di aghi che rendono l’impatto con il terreno morbido e silenzioso. Il viale scende con grandi svolte, corro veloce in discesa, senza fatica, il respiro quieto e la mente che si svuota. Il tappeto di foglie passa velocemente davanti agli occhi e diventa un mosaico astratto di colori dorati e terrosi.
Non ho voglia di uscire e taglio il bosco da un viale all’altro per brevi tratti in salita; qui i viali hanno un nome, quasi fossero vie di una immaginaria città: “il centrale”, “il serpentone”, “il maggio”.
Perdo rapidamente quota e arrivato in fondo, supero la sbarra metallica e percorro l’ultimo tratto, che mi riporterà al punto di partenza. Riesco ancora a correre con appoggi leggeri, aumento leggermente l’andatura chiudendo il giro e cerco istintivamente il cronometro, prima di ricordare che questo non è un giorno né una corsa da cronometro; ora sento nuovamente l’odore dei pini e il vento sul volto. Nel momento in cui mi fermo comprendo con assoluta certezza di avere vissuto un raro momento di grazia, di armonia totale. Qualcosa di molto simile ad una illuminazione. Il dono che talvolta la corsa offre a noi corridori.
Un abbraccio a tutti Carlo Venturi

5 commenti:

  1. E' un racconto bellissimo che tocca le corde dei sentimenti più profondi....grazie per averci fatto vivere questo tuo momento "di grazia".I "no runners", che spesso ci prendono per pazzi, non potranno mai capire quanta forza e quante sensazioni ci regala la corsa. Noi ti aspettiamo e se ti va, si potrebbe organizzare un bell'allenamento collettivo proprio alla forestale... che ne dici ? In bocca al lupo Carlo!!!!

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  2. Io non corro e sinceramente leggendo questo bellissimo racconto,mi rendo conto di come siamo teneramente limitati,di come di fronte alle difficoltà non riusciamo a crearci delle alternative per poter andare avanti,insistiamo sempre sullo stesso tasto senza renderci conto che la vita ci riserva tante sorprese e che molte volte ci si trova davanti ad un bivio incapaci di incamminarci per una strada nuova e sconosciuta che potrebbe portarci a sentire comunque la bellezza della vita e la consapevolezza che per essere sereni non dovremmo aggrapparci a nulla perche tutto puo' finire...auguri Carlo,scusa per il mio pensiero,si capisce che non sono una persona che corre ma semplicemente una donna che cerca di vivere la propria vita con equilibrio.AAA

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  3. "leggere" questa tua illuminazione podistica mi ha ricordato Pino Papaluca ed il suo
    "La Pace va per...corsa": dopo la tremenda diagnosi di zoppia permanente, lui scrive (più o meno!) che "anche il momento più brutto della nosta vita, prima o poi passa". Da qui, la forza di sperare, di non arrendersi mai.
    Ognuno ha le sue sfide...ed i suoi traguardi da raggiungere. Grazie Carlo per aver descritto superbamente sensazioni che ho avuto la grazia di provare anch'io.
    Se non lo avete ancora fatto, leggete la storia di Papaluca: è un inno alla vita.
    Un abbraccio affettuoso a tutti i nostri lettori

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  4. Ecco perché la corsa non è solo movimento, sforzo, sacrificio, dolore fisico.
    Ed ecco anche perché un blog può servire tanto quanto un paio di buone scarpe da running - e forse più di tante gare e di tanti allenamenti.
    Grazie Carlo, per avercelo spiegato con il tuo bel racconto, con il quale hai saputo dar voce a sensazioni che ci accomunano, trovando le parole e i toni giusti per comunicarli con efficacia anche a chi podista non è.
    E grazie per averci ricordato anche che la corsa non è un'attività per solitari. E che quando un problema fisico ci costringe a fermarci, sappiamo sempre far correre i pensieri e le emozioni della corsa.

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  5. Pennèèèèèèèèèèèèèèèèèèèèèèè!

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